Il brano che segue è stato letto la notte di Venerdì Santo 2007 prima dell'uscita della processione dell'Arciconfraternita della Morte ed Orazione. Lo riproponiamo per chi non avesse avuto la fortuna di essere presente quella notte.

 

Madre:
Anche questa sera ho acceso questo lumino sul davanzale di questa finestra che spalanca la vista sul nostro meraviglioso e tremendo mare, questo lumino che da due anni è il mio e il tuo faro, un faro necessario ad indicarti la strada di casa se rispunterai all'orizzonte di notte ed avrai paura di non riconoscere quei luoghi dove da bambino scrutavi il mare, già scrigno dei tuoi sogni! Una luce necessaria a ricordarti che non sei solo ma che mamma è qui, notte dopo notte, giorno dopo giorno, a non far spegnere la speranza che il mare ti restituirà alle mie braccia.
Ogni notte dopo averlo acceso, sistemo la sedia dietro la finestra in modo da poter vedere nel buio quella tenue linea che contorna la punta del Capo e che continuando si perde sino a che il cielo non si bacia con il mare.
Mi fa compagnia, in queste notti, quella tua ultima lettera dove mi raccontavi con che gioia e con quale , entusiasmo stavi vivendo questo lungo viaggio in mare che avevi così fortemente voluto.
Figlio:
Mamma Mia Carissima,
mi auguro che presto riceverai questa lettera che ti invio tramite zio Michele che presto ritornerà dalla Sardegna dove ci siamo incontrati. Non puoi immaginare come è bello svegliarsi la mattina e correre a prua del Brigantino per vedere con quanta forza quelle assi di legno che con amore ho tagliato, sagomato ed inchiodato sembrano domare il mare; sembra quasi che l'acqua si lasci dolcemente ferire da quella lama! Mi da coraggio vedere le vele gonfiarsi e ammirare la fierezza dei nostri alberi resistere ai possenti e continui strappi del vento. So che il mio partire ti ha addolorato ma l'arte del maestro d'ascia non potevo lasciarla chiusa nel segreto del monazeno della spiaggia; dovevo vedere come si comportava in mare aperto la nostra creatura. Quante volte mi hai raccontato che da piccolo anche tu nel muovere i miei primi passi mi lasciavi la mano solo quando eri sicura di poter prevedere ogni mia incertezza. Così anche io, questo mio primo brigantino non potevo non accompagnarlo nel suo primo viaggio. nella sua vera prova: il mare aperto! Dovevo assistere al suo navigare, sentirne i rumori, il lamento del legno. Ti sembrerà strano, so che nel tuo essere scaramantica te ne preoccuperai, ma sono ansioso di vedere spuntare all'orizzonte qualche nuvola nera presagio di tempesta: solo in tempesta potremmo vedere se il sudore, il lavoro, le mani spaccate hanno avuto un senso. Se quella voglia di partire, che sembrava gridarci lo scafo durante il varo, riuscirà ad intimorire anche il più tempestoso dei mari.
Proprio del varo spesso parliamo la sera! Dopo aver recitato il rosario a poppa con il Capitano, mentre il timoniere segue le nostre preghiere guardando l'orizzonte quasi a scrutare il dolce volto della Madre delle Grazie, ci ritroviamo per raccontarci le cose belle della nostra terra lontana! Ma non so perché ultimamente i miei pensieri sono stati dominati da una sensazione di passione, quasi di dolore. Ho pensato e ripensato ad alcuni gesti fatti proprio nel grande giorno del varo. Uno in particolare è diventato un pensiero fisso; un tarlo che mi ha scavato dentro! Ricordo come proprio quel giorno mi sembrò naturale inchiodare sulla prua del Brigantino quella Croce di Cartapesta che il priore dell'Arciconfraternita della Morte e Orazione, Don Mimmi De Nicola, mi aveva commissionato per la Processione nera del Venerdì Santo. Quello di inchiodare una croce sulla chiglia di una barca in costruzione era stato per la mia arte un rito di iniziazione; un rito tramandato di padre in figlio, che avevo visto fare centinaia di volte al nonno e a papà, e che ora lo ripetevo con una grande croce quasi a voler invocare una maggiore protezione per la nostra nuova opera.
Nelle fasi concitate dei giorni che avevano preceduto il varo, quella croce di cartapesta era finita sotto un groviglio di corde e teli per le vele; nel liberarla quasi involontariamente l'avevo innalzata come si fa quando si parte in una processione. Quel semplice gesto, fatto quasi per caso, fu per il mio cuore così solenne che, istintivamente, vidi nella prua del nostro nuovo brigantino l'unico posto dove quella croce sarebbe diventata resistente e forte come uno scudo! Una semplice croce di cartapesta dava la sua benedizione e protezione a quanto di più alto e nobile aveva saputo produrre la nostra marineria.
Madre:
Ricordo come litigasti con il Priore quando insieme agli assistenti scesero da Carotto fin giù al cantiere per vedere quella Croce. Eri orgoglioso di lavorare il legno perché dicevi che riuscivi a tirar fuori la sua anima. Facesti una croce meravigliosa, come meravigliosa può essere solo la croce di chi ha amato le processioni.
Ricordo come da questa stessa finestra ti vedevo tutto vestito di nero, quasi come una ombra nelle tenebre della notte, avviarti verso la chiesa di San Michele per prendere parte alla processione della Addolorata. Eri così fiero di aver intagliato tu, con le tue mani, la croce che, tra lancia e spugna, avrebbe percorso le strade e le stradine del paese, che non accettavi l'idea del priore di non volerla più di legno; non accettavi l'idea che una croce potesse essere leggera! Può il peccato essere senza peso?
Accettasti solo per non farla fare ad altri, tu sapevi che dall'alto avrebbero condotto le tue mani; come quando si taglia il pezzo seguendone la sagoma, così, tu dicevi, il Signore ti avrebbe condotto facendoti modellare la carta, per darle consistenza.
Figlio:
Non so perché, ma in questi giorni trascorsi lontano da te ho pensato molto a quella croce! Oggi porto nel cuore anche la sua dolce leggerezza e fragilità, come sto capendo che per quando sia fatto a regola d'arte è sempre fragile uno scafo rispetto alla potenza e alla forza del mare. Ma quella croce, credimi mi rasserena il cuore e mi dà speranza; speranza e
serenità che ti auguro madre mia dolcissima. Tuo Giuseppe
Madre:
No, amore mio, tua madre ti ha tradito! Per due lunghi anni non sono riuscito a liberarmi di questa croce, della tua croce!
Ho odiato il priore che con le prime avvisaglie della primavera puntualmente mi supplicava di consegnarla alla Confraternita. Mi hanno chiamata pazza quando la notte della processione ho aspettato sulla Ripa di Cassano, la Madonna Addolorata per gridarle tutto il mio dolore.
Il suo di dolore poteva trovare almeno il conforto di un corpo ritrovato dopo una notte di ricerca disperata. Il mio di dolore era senza fine. Il Mare mi condannava a non ritrovare più mio figlio; Lei aveva il figlio e la croce a me rimaneva soltanto la croce. Ho invidiato il suo dolore; ho invidiato quel pianto ai piedi della Croce, quell'abbraccio, l'ultimo abbraccio prima del sepolcro.
Le ho gridato che era stata madre anche lei, aveva anche lei cullato il proprio piccolo, accarezzato i suoi capelli; sentito crescere dentro l'unica cosa che una madre ama senza limiti. Come poteva condannarmi a non ritrovare il tuo corpo, a non ascoltare le mie preghiere? Come poteva condannare una madre a non avere neanche un luogo dove piangere il proprio figlio? Ma all'improvviso ho capito, leggendo e rileggendo questa lettera, che il giorno del varo del Brigantino il Signore stava parlando ai nostri cuori: stava indicando a te la strada per andargli incontro, per trovarlo in fondo a quel mare che avevi così tanto amato e a me stava lasciando quella croce: il luogo dove piangerti.
La Croce, la Sua Croce, la Tua Croce: il principio e la fine di tutto.

Il mozzo Giuseppe Lauro, poco più che ventenne, imbarcato su un Brigantino costruito alla marina di Cassano per conto dell'Armatore Giuseppe Maresca, scomparì in mare una mattina del gennaio del 1906 nelle acque di Capo Spartivento in Sardegna; lo videro per l'ultima volta a prua, su quella stessa prua dove ogni giorno amava andare ad osservare lo scafo solcare il mare. Il giorno 17 aprile 1908, venerdì Santo, il Priore dell'Arciconfraternita Morte e Orazione, Domenico De Nicola e i partecipanti alla processione nera videro entrare in Basilica la Signora Rosa, Madre di Giuseppe, con quella stessa croce che da allora ha raccolto le lacrime, le sofferenze e le speranze di quanti hanno amato le processioni nere del Venerdì Santo.
Il primo assistente, Raffaele Maresca, il 19 aprile del 1908, Pasqua di Resurrezione, annotava su un piccolo foglio di conti questa storia straordinaria di un figlio della nostra terra che, come tutti quelli che nei secoli hanno partecipato alla processione nera, rivivono e danno un senso a questa notte; li ritroveremo giù alla Ripa di Cassano, alla Madonna di Rosella o sopra Santa Teresa ad indicarci la strada, La Sua Strada: la strada dell'Amore! Senza Ritorno.