A 25 ANNI DAL TERREMOTO

 

Il 23 novembre 1980, ore 19,35, un terremoto senza precedenti colpiva l'Irpinia, ma faceva pagare un conto salato anche alla Penisola sorrentina, soprattutto a Piano di Sorrento. Qui il sisma, di potenza su­periore ai 7 gradi della scala Richter, della stessa forza che ha colpito il Pakistan, fece ben 10 morti. L'impressione fu che la furia natu­rale che doveva devastare il paese, venisse dal mare, poiché le vittime furono registrate tutte dalla parte bassa della cittadina: cinque morti nel crollo di un vecchio edificio in Via Cassano: quattro per la caduta di una palazzina in Via Ripa di Cassano; una vittima rimase sotto le macerie del crollo di Villa Fondi, mentre passava con la sua auto. Molti furono coloro che dovettero abbandonare le proprie abitazioni rimaste seriamente danneggiate. Per i primi soccorsi furono sistemate tende e roulotte nei campeggi. Poi incominciò la sistemazione delle famiglie negli alberghi e successivamente nelle case di villeggiatura requisite dai sindaci. Il problema, però, era della Costiera sorrentina, della Campania intera, ma maggiormente dell'Irpinia intera ed altre zone vicine. Qui paesi interi furono rasi al suolo: migliaia i morti, centinaia di migliaia i senza tetto. S. Angelo dei Lombardi, Conza della Campania, Calabritto, Lioni, Mirabella Eclano, Nusco, Montoro Inferiore, Montoro Superiore, Montella, Torella dei Lombardi, Solofra, Avellino, San Michele di Serino, Baronissi, Laviano e quindi altri comuni come Nocera Inferiore e Superiore, Castelnuovo di Conza, Salvitelli, Ripigliano, S. Gregorio Magno, Santomenna, Balvano, Potenza, e i paesi a ridosso della Costiera sorrentina: Gragnano, Castellammare di Stabia e il capoluogo di provincia, la bella Napoli. Per capire la giusta dimensione di quello che fu la più forte catastrofe dopo il 1930, basta visitare qualche paese dell'avellinese, come Montella, dove non c'è traccia dello antico; ormai è tutto cemento. Ma come succede per le guerre, anche in quella occasione non mancarono i furbi: falsi terremotati; proprietari che hanno ricostruito palazzi caduti senza far rientrare gli inquilini, come prevedeva la legge 219; gente con un reddito alto che usufruiva del pasto offerto dagli enti pubblici; generi alimentari, mercé varia, biancheria, abbigliamento che prendevano altre strade e non già quella dell'assistenza ai terremotati. Infine tanti professionisti che non avevano mai visto un fabbricato a stabilire la staticità degli edifici colpiti; imprenditori improvvisati arricchitisi miracolosamente. E mentre si progettavano affari, arrivarono in molti comuni i containers in attesa di costruire le case destinate ai terremotati veri.

A Piano di Sorrento, nell'84, l'Amministrazione retta dall'architetto Antonino Gargiulo, consegnava le chiavi dei prefabbricati sistemati alla frazione Trinità e le famiglie terremotate ringraziavano la Democrazia Cristiana. E mentre i comuni Irpini venivano ricostruiti, si dice, grazie al grande impegno di Ciriaco De Mita, nella vicina Gragnano, le famiglie sono rimaste nei containers fino a pochi anni fa. E' il caso di dire che in Italia anche le disgrazie fanno due pesi e due misure.

Intanto pare che qualcosa si muove per questo venticinquesimo anno dal sisma. Se in Costiera il decennale passò sotto silenzio, per il venticinquesimo qualcuno si vuole ricordare.Dopo l'unica iniziativa presa a Piano di Sorrento, alcuni anni fa, la lapide con i dieci nomi dei morti, apposta nei giardinetti pubblici di Via delle Rose, quest'anno va lodata l'iniziativa di Mimmo Cinque (figlio del compianto artista Salvatore Cinque) il quale sta organizzando un'ampia documentazione, da consultare su Internet, giornalistica e fotografica del triste evento ricordato dalla stampa anche negli anni successivi al sisma. Tali iniziative servono per non dimenticare le tante situazioni che si vennero a creare dopo il triste avvenimento. Speculatori senza scrupoli che si arricchirono; palazzi che si resero pericolanti allo scopo di demolirli e ricostruirli, sfruttando il privilegio concesso dalla legge; inquilini che dopo il primo periodo dovettero poi arrangiarsi e trovarsi un'altra abitazione mentre altri furono privilegiati e si trovarono sistemati in case comunali. Una situazione che nel tempo si verificò un po' dappertutto. Anche la solidarietà durò l'arco di un mattino. Dopo che si erano aperti giardini e avviate cucine da campo. Poi tutto finì.

 

Lorenzo Piras

(da "Peninsula" dell'ottobre 2005)