Torna all'indice

OMELIA DEL 14 MAGGIO 2006
(tratta dal sito www.acsanmichele.org)

Riceviamo, come ogni Domenica e come ogni Domenica di Pasqua, il saluto del Risorto che scende sui nostri cuori sempre vacillanti, sempre impauriti dinanzi al futuro, dinanzi a ciò che temiamo e amiamo al tempo stesso, dinanzi alle svolte che la vita ci presenta, e non è la vita ma è Dio Provvidenza. Facciamo un atto di fede in questa conduzione della nostra vita personale, ecclesiale, e della Chiesa parrocchiale. Questa conduzione di Dio, Dio ci conduce, Dio sa, Dio è avanti a noi, Dio prepara per noi ciò che noi neanche immaginiamo. Fidiamoci di Lui. “Tu sarai profeta di salvezza” è rivolto a me, è rivolto a voi, ad ogni battezzato, è questa missione profetica che non ha confini. In questo momento sentiamo forte, come comunità parrocchiale, ma per me, come persona, in modo tutto speciale la comunione con la Chiesa di Teano – Calvi che nell’Eucaristia, nelle Eucaristie che si celebrano oggi pronunzia il mio nome; lo ascolto con trepidazione, perché questo nome nella preghiera eucaristica, sia pure come Vescovo ancora solo eletto e non consacrato, mi turba, mi sconvolge, ma al tempo stesso mi dà sicurezza, perché la preghiera della Chiesa corale è senz’altro efficace, Dio ascolta la preghiera della Chiesa, Gesù desidera la voce della sua sposa, e quindi sentendo che i nostri orizzonti si allargano, che non bastano le colonne della nostra Basilica e i confini della nostra Parrocchia e della nostra Chiesa diocesana, sentendoci in comunione con tutte le Chiese, e in particolare con questa che da oggi diventerà cara anche a voi, confessiamo i nostri peccati prima di introdurci nel Santo dei Santi di questa celebrazione.

LETTURE Atti 9,26-31 1^ S. Giovanni 3,18-24 Giovanni 15,1-8

Cerchiamo, non senza difficoltà, di individuare la ricchezza della mensa di oggi. Il Signore ci ricolma di beni ogni oltre misura, è sempre eccedente l’amore. C’è innanzi tutto il dono dell’Eucaristia al quale tentiamo di non abituarci e di guardare con la semplicità, l’apprensione, la gioia del giorno della nostra Prima Comunione, un dono sempre nuovo, un dono che ci sconvolge e ci chiama, ci reclama, che può diventare, se lo viviamo appieno, matrice anche per le nostre piccole vite e piccole storie, un amore che si dà. E c’è la ricchezza della Parola, sulla quale mi fermerò, con questo discorso accorato di Gesù a rimanere, a restare attaccati a Lui per portare frutto, per non vanificare l’occasione meravigliosa e drammatica di questa nostra esistenza di uomini e donne sulla terra. Poi, in ordine di importanza, c’è il ventesimo anniversario della costituzione del gruppo ministranti, diciamo una delle cose più importanti oggi, ovviamente dopo i Santi Misteri; forse vedendoli sfilare con una croce al petto, vi sarete chiesti: ma hanno fatto Vescovo il parroco o i ministranti? Era una cosa già prevista, questa croce l’avevo consegnata loro per il ritiro di Pasqua, tornerà a Pentecoste, e solennizza oggi per loro e per tanti, che prima di loro hanno affollato gli scanni del coro, un motivo, un momento per fare memoria e per dire grazie di questa opportunità di vivere accanto, a un passo dal Mistero, come ho sentito poi, di generazione in generazione, come una parola d’ordine, trasmettersi. Poi c’è la festa della mamma, di ogni mamma, quelle del Cielo, quelle della terra, le mamme donne, le mamme uomini, perché ci sono anche mamme che vivono la virilità ma hanno un cuore materno, forse anche di noi preti, mamme di comunità. In ultimo c’è il cinquantunesimo compleanno del parroco, e poi c’è un’altra cosa di cui pure parleremo di striscio, ma che tanto motivo di festa non è. Andiamo con ordine. Il primato ovviamente va dato alla Parola di Dio che dà la tonalità, che dice l’inizio del discorso, che dà l’avvio, che dice se dobbiamo cantare in maggiore o minore, se è un contrappunto o un tema fugato. La Parola di Dio si innerva intorno a questa immagine che Gesù ha utilizzato in un momento drammatico della sua vita, perché questi sono i discorsi dell’addio di Gesù ai discepoli: il tema della vite e dei tralci. In questa V Domenica di Pasqua Gesù vuole dirci: tu resterai in vita, non nella misura in cui avrai molti anni da vivere, se sei giovane, se sei adulto, se sei bambino, se sei vivo o se sei morto, tu resterai in vita non perché il tuo cuore batte, perché non stai bene in salute o scoppi di salute, come Giampiero qui alla mia destra, che è straripante di salute, non per questo, ma se tu rimani unito a me. Questo è il motivo della nostra vita, e quindi ci sono alcuni che sono vivi ma sono morti, altri che sono morti ma sono vivi, perché l’elemento discriminante per dire se siamo in buona salute non sono i valori delle ultime analisi che avete fatto, ma l’intensità del nostro essere in Gesù. E qui Gesù utilizza delle espressioni dolcissime ma anche dure, bellissime ma anche chiare, per indicarci da che parte ci troviamo, dove ci siamo persi, l’espressione è “senza di me non potete far nulla”; non dice “senza di me zoppicherete, senza di me potrete fare qualcosina ma non tutto, farete molte cose ma non utili”, è drastico Gesù: “senza di me non potete fare nulla”. Significa che io non posso essere uomo, tu non puoi essere donna, voi non potete essere coppia, voi non potete essere fidanzati, voi non potete essere gruppo, tu non puoi essere ingegnere, tu non puoi essere avvocato, tu non puoi realizzare i tuoi sogni senza Gesù; senza Gesù non si fa nulla, nulla di buono ovviamente. Allora per le volte in cui ci siamo sentiti abbastanza grandi e ci siam detti “adesso basta, ne ho sentite troppe di prediche, adesso ho il mio zaino, la mia bisaccia stracolma di grazia, posso partire, posso fare a meno di passare dal distributore di grazia settimanale, che è la celebrazione eucaristica”, per tutte le volte in cui siamo partiti pensando di saperne abbastanza, dobbiamo chiedere umilmente perdono stamattina, perché la grazia che ti è stata data era la grazia per quel giorno, e il giorno dopo tu hai bisogno nuovamente della Comunione, hai bisogno nuovamente del contatto con la Parola, hai bisogno nuovamente dell’incoraggiamento di Gesù, hai bisogno nuovamente che Egli ponga la sua mano sulle tue piaghe, sulle tue paure, sulle tue infelicità e possa guarirti. Allora vorrei innanzi tutto che noi fraternizzassimo con quest’espressione di Gesù, e in particolare i giovani, che sono naturalmente presuntuosi - non è un rimprovero, fa parte della vostra stagione di vita - in particolare loro che si sentono così pieni di forze, dicono: “io farò, io progetterò, io realizzerò, io mi iscriverò, io sarò un professionista, noi due ci vogliamo bene e il mondo lo chiudiamo fuori”, per loro in particolare, ma anche per noi grandi, Gesù dice: “attento! non ti allontanare, perché tu senza di me non puoi far nulla, se ti tieni unito a me, tu farai cose grandi”. “Con Te noi faremo cose grandi”, lo abbiamo cantato tante volte, e oggi ve lo ricordo. Se qualcosa di grande è avvenuto nella nostra comunità, com’è accaduto, perché non possiamo tacere la grazia, è perché alcuni di noi siamo rimasti uniti a Gesù, perché la linfa è passata, perché dalla vite è arrivata al tralcio, che sembrava un elemento ornamentale ed è diventato un grappolo d’uva maturo, e quel grappolo pigiato è diventato mosto e poi ha cominciato a bollire nella botte ed è diventato un vino nuovo. Se qualcosa di buono io ho realizzato, tu hai realizzato, noi abbiamo realizzato nella nostra vita lo dobbiamo solo a Lui. Per questo abbiamo ripetuto nel Gloria: “Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo”, cioè le cose grandi le sai fare Tu solo, noi siamo formiche, noi siamo piccoli, noi non sappiamo far nulla, ma con Te noi diventiamo forti, e il piccolo Davide senza armi può andare incontro anche al Golia, armato di tutto punto, che è la cultura, che è la società verso la quale un cristiano va sempre impaurito. Questo discorso della vite e dei tralci ha anche il contrappunto del dolore, perché Gesù non solo afferma che con Lui si è vincenti e senza di Lui si è perdenti, che con Lui si fanno cose grandi e senza di Lui si diventa tralci buoni solo da bruciare, senza futuro, senza fecondità, ma annuncia anche che c’è un’azione dolorosa per la vita del tralcio, per la fecondità, per la vendemmia, ed è il verbo potare, perché c’è il tralcio secco che viene gettato via nel fuoco, perché ormai non è più collegato alla fonte, perché le arterie sono ostruite, perché c’è un’arteriosclerosi che non permette il passaggio della grazia, ma c’è anche questa azione di potatura, perché nei confronti dei tralci, speriamo tutti noi, che rimangono uniti alla vite, c’è anche il taglio delle forbici, di cui molti di noi hanno nelle orecchie il suono. Le forbici per potare, ve le ricordate? hanno un suono tutto loro, di cui la nostra infanzia è attraversata; questo suono della potatura, secco, e anche fonte di dolore per la vite e per il tralcio, perché se tu lasci una vite riprodursi senza forma, senza un progetto, senza disciplina, produrrà dei grappoli rachitici, come tante viti che i contadini non curano più, che gettano fuori una folla di pampini, una folla di grappoli che non giungeranno mai a maturazione, perché la forza non c’è per tutti, allora bisogna potare una, due, tre volte, e ogni qualvolta si pota, esce una goccia di linfa, è la pianta che piange. Quando eravamo giovani Lucrezio nel “de rerum natura”, (spero ancora che da qualche parte si studi), ci faceva piangere, dicendo: “sunt lacrimae rerum”, sono le lacrime delle cose, perché se tu anche spezzi lo stelo di una pianta vedi la linfa, piange, piange la pianta, piange perché è ferita, ma se questa ferita è fatta dalle forbici del potatore, è un pianto che è per il bene, quella potatura che noi oggi non abbiamo più tanto coraggio di fare con i nostri figli, perché abbiamo paura delle loro lacrime, perché ci fanno troppo tenerezza, perché diciamo: “non lo voglio far soffrire mio figlio”, ma se tu non lo poti, se tu non hai il coraggio di tagliare certe cose, di dire no qualche sera, di mettere dei paletti per il rientro, questo figlio, sì, non soffrirà adesso, ma soffrirà domani, quando tu non ci sarai, e ti maledirà, perché non lo hai potato. Allora questa azione di potatura passa dal mondo vegetale alla dimensione pedagogica, quindi Gesù oggi ti dice: se tu sei responsabile di una persona, di un figlio, di un gruppo di adulti, di bambini, di un gruppo di A.C.R., di un gruppo di Giovanissimi, se tu sei responsabile di qualcuno, tu devi avere in mano le forbici del potatore e devi dire “no, questo libro non si legge, questa cosa non si fa”, perché non si possono fare tutte le cose, perché se si fanno tutte le cose finiremo col farle male e non verrà fuori nulla, bisogna potare. E allora il coraggio del contadino nel potare le viti “stai potando, e stai facendo soffrire?, - sì, ma è per il bene. - Gesù dice, e vengo a quello che è più importante nel messaggio del vangelo di oggi, che questa potatura è fatta su coloro che rimangono uniti a Lui, e fa soffrire, ma è per il bene, è per il bene! Ti pota perché tu possa portare più frutto; se qualcosa Dio te la vieta, se una gioia non te la fa vedere, se te la inquina, ci sarà un motivo; se c’è un lutto, se c’è un dolore, se c’è una prova, se c’è un’aridità, se c’è un distacco, è per il bene, perché Dio è Padre, non può volere una sofferenza fine a se stessa, ma vede già la vendemmia, vede già il vino di gradazione alta, vede già il passito dolcissimo che berrai dal calice in questa Eucaristia, Lui vede già, tu vedi solo il dolore, tu vedi solo il distacco, e allora devi chiudere gli occhi e fare un atto di fede nel Dio che sa, nel Dio Provvidenza, nel Dio che dirige tutte le cose, tutte le vite, tutti gli incontri, tutte le famiglie, anche la famiglia di famiglie che si chiama Parrocchia, e provvede a tempo opportuno questo o quel Pastore. E noi adesso stiamo vivendo una potatura, e questo non è un motivo di gioia, ecco perché non ho indicato tra i motivi di festa il fatto che il vostro parroco sia stato nominato Vescovo della Diocesi di Teano – Calvi, non è, non è un motivo di festa; può esserlo il fatto del suo compleanno, ma questa coincidenza che certamente, (capite bene che non l’ ho scelta io, sono cose che si scelgono così in alto che non può che esserci lo zampino di Gesù), questa coincidenza da un lato ci fa dire che c’è una gioia, perché un anno che passa è un anno di vita, ma dall’altra c’è il fatto che voi ed io, non so chi di noi due di più, dal mio punto di vista dico io; ma voi dite noi, va bene, non stiamo a precisare troppo, siamo potati in questo momento. Ieri ho visto tante lacrime e anche oggi, e ne vedo e ne intravedo, avremo modo di piangere a lungo ancora per due mesi, perché la cosa non finisce qui, purtroppo, tante lacrime che comprendo, perché dite: ma tu sei stato con noi tanto tempo, perché non rimani? Ed io dico: “sì, vorrei rimanere”, ma come dice il titolo di un film che ho visto, ovviamente più dei titoli non so dirvi, “ti amo troppo perciò ti lascio” c’è il fatto che questa potatura non l’ ho scelta io, sono appena quattro giorni che io so, ho saputo in segreto di questa scelta, che viene dal Papa, e ne ho sofferto, e sono stati giorni terribili, e dovrò celebrare questa morte, che è una morte anche per voi, ma vogliamo vedere questa cosa solo nei termini umani? staremmo qui a piangere per tutta l’eternità. E allora innalziamo la nostra visuale “in più spirabil aere - come dice il Manzoni - “in più spirabil aere, pietosa il trasportò”. E qual è questo piano più alto dove si respira meglio? È il piano della fede, e nel piano della fede vi devo dire, e l’ ho detto mercoledì a Roma, alla C.E.I.: sì! Momenti, vi rendete conto, non facili, perché ci sono dei momenti, come quello di mercoledì, come quello di ieri, come quello del giorno della mia, non immediata, futura Ordinazione episcopale in cui la vita tu la senti che si restringe e la tieni in palmo e puoi stringerla, dire: è mia! o tieni aperto il palmo della mano e lasci che un altro se la prenda. D’altra parte vi rendete conto, cari fratelli e sorelle, mi conoscete fin troppo bene nonostante i miei limiti, per sapere che della mia vita non ho fatto proprietà privata, la mia vita è stata la vostra, siamo entrati l’uno nella vita dell’altro in una dimensione più che sponsale per tanti anni, e quindi la mia era già una vita data; potevo dire no, potevo dire: ci devo pensare, datemi qualcosa che mi piaccia. No!, se tu la vita l’ hai data, l’ hai già data, il giorno della mia Ordinazione io l’ ho data qui, ai piedi di questo altare sul marmo di cui già vi dicevo durante la preparazione alle Ordinazioni presbiterali ultime, l’avevo già data, e quindi ho dovuto dire: sì, va bene come vuoi Tu. Però questo costa, costa a me, è costato, costa e costerà, e costa a voi, e allora diciamo: Signore, mi fido di Te, Tu sai, mi lascio guidare, che mi succederà?, mi accadrà come a Paolo nella prima lettura? Il cardinale Martini ieri sera, l’ ho sentito per telefono, con molto affetto ma anche con una immediatezza che solo i santi sanno avere, mi ha detto: “Bravo, bravo, sono contento, comincia la tua via crucis”, io avrei voluto dire: “Padre, io di stazioni di via crucis ne ho già fatte tante”, ma mi rendo conto che cominciamo daccapo: prima stazione: “Gesù è condannato a morte”, e così via. Allora viviamo - anche qui la coincidenza non può che essere provvidenziale - viviamo questo distacco che non avviene oggi eh!, mi sopporterete ancora per due mesi. Com’è? Sì, crescerò io, crescerete voi. La cosa più bella che ho sentito, anzi due, una l’ ho sentita da Marco, che è qui presente, Don Marco, mi ha detto ieri: “I figli quando il padre parte o muore diventano grandi”. Ed è vero, e se i padri non muoiono, i figli non crescono. L’altra l’ ho sentita stamattina da Dino, che mi ha detto, un po’ con le lacrime agli occhi: “Ma in fondo le cose più belle i discepoli le hanno fatte quando Gesù non c’era più”. Due espressioni, ovviamente per la seconda “nego paritatem”, io non sono Gesù e voi i discepoli, vi rendete conto bene dei miei limiti e dei miei difetti che conoscete quanto mai bene, perché quando si sta insieme si conoscono pregi e difetti, però finché c’è stato Gesù, i discepoli: Va be’, ci sta Lui. Finché ci sono stato io, Pasquale: Va be’, dillo al parroco. Adesso capite che anche le spalle di Pasquale tremano; ha tremato e trema il mio cuore, trema il suo, trema il cuore di tutti, trema il cuore dei figli che dicono: ed ora?…, come quando si ritorna a casa dopo una celebrazione esequiale si dice: e che facciamo? vogliamo chiudere i battenti? No, la vita continua, rimbocchiamoci le maniche, questo prima lo faceva mio padre, adesso lo faccio io mamma diceva… E poi lo dici anche tu. Sarà così anche per voi, spero che sia così anche per me, perché in questa difficoltà io penso d’essere un po’ più perdente. Lo so che voi non lo condividete, ma io sento che è così, e quando ho visto persone troppo in lacrime ho detto: Guarda un po’, mo’ devo andare pure a consolare quelli che mi dovrebbero consolare. Si invertono le parti! No, lasciamo, sentiamo che questa è una potatura allora diciamo: mi fa soffrire ma mi fido, va bene, fiat, va bene, sì, amen. E Gesù farà portare frutto a questa comunità, farà portare frutto ai figli che sono diventati grandi, già ieri, farà portare frutto a me che vado come un pellegrino in una Chiesa che non conosco, di cui porterò il peso. Infine una parola al gruppo ministranti, perché è la loro festa, e non gliela voglio amareggiare per quello che ho detto, spero non vi abbia amareggiato, un pastore deve dire la verità anche quando fa male. Sono contento, sono contento di questi vent’anni vostri, che non sono vostri, sono vostri e di quelli che hanno cominciato, come Mario, Peppe, Guido che adesso sono sposati, hanno i figli e forse – spero - aspettano che i figli diventano grandi per vederli in cotta e talare al vostro posto, che era il loro posto. Qualcuno, tra le tante accuse raccolte in questi ultimi anni dove pian piano ho cercato di defilarmi, ha detto: ma tu dedichi troppo tempo a questo gruppo ministranti, insomma, ma chi sono? perché tutta questa attenzione proprio a loro? perché? non perché siano migliori degli altri, ma perché fanno un bel segno nella storia della nostra comunità, e ho fiducia che voi, e quelli che verranno dopo di voi, potranno non solo fare ala, mostra e regia nella celebrazione, ma possa il vostro gruppo produrre frutti, ora anche per voi c’è questa potatura. Il viaggio a Londra già mi vedeva un po’ così…, così…, guardando l’orizzonte: mah! forse è l’ultima cosa che farò con loro. Fa niente, andate avanti, coraggio e siate orgogliosi, come scriveste anni fa sotto la foto di Poldo che era alla guida del suo elicottero: l’orgoglio di essere ministranti. A volte un po’ d’orgoglio fa anche bene: faccio parte di questa famiglia, di questo gruppo, mi sento responsabile. Il gruppo ministranti è l’unica esperienza e ancora purtroppo l’unica trasversale nella nostra comunità, cioè dove ci sono ragazzi di quindici anni, quattordici anni e giovani universitari o già sposati; coraggio, aspetto di sentire da voi, anche da lontano, perché poi l’orecchio del cuore comunque manterrà l’attenzione a voi, a tutta la comunità, aspetto di sentire dire che avete fatto cose grandi, che non vi siete fermati dinanzi alle difficoltà, che da voi sono usciti dei bravi professionisti, delle persone impegnate nella vita sociale, dei preti, perché no? ne sono già usciti; Domenico, che è stato ordinato appena dieci giorni fa, era il turiferario, essi dicono incensiere confondendo la persona con l’oggetto; questo è l’augurio che vi faccio, mi aspetto di sentire che ci saranno frutti, che ci saranno nuove vendemmie, nuove messi da raccogliere e Pasquale mi dirà: ti ricordi quel ragazzino piccolo?…, è un animatore, è entrato in seminario, si è sposato, è una coppia di riferimento. Ecco, questo vi auguro, di continuare a portar frutto e non poco, ma un frutto abbondante e sapete bene, e concludo, che questo dipende dal vostro essere in Gesù, non basta stare qui intorno all’altare, si può stare anche in fondo alla chiesa ed essere più dentro al Mistero. Questa vicinanza fisica vi aiuti, aiuti quelli che verranno dopo di voi a realizzare una vicinanza anche affettiva ed effettiva. Auguri! Il testo non è stato rivisto dall’autore.